Le infezioni delle vie urinarie (IVU)
sono fra le più frequenti infezioni umane ed
insieme a quelle dell'apparato respiratorio, costituiscono
una delle affezioni di più comune riscontro
nella pratica medica. Esse sono responsabili di circa
8.000.000 di visite ambulatoriali all'anno negli Stati
Uniti e di più di 100.000 ricoveri ospedalieri.
Sono anche al primo posto fra le infezioni nosocomiali.
L'interesse per tali infezioni è costituito
dalla loro morbilità e soprattutto dall'enorme
impatto economico-sanitario ad esse relativo.
Infezione urinaria significa presenza
di un processo infiammatorio, sostenuto da un agente
infettante (generalmente un batterio), a carico del
rene e/o di un tratto delle vie urinarie. Le vie urinarie,
ad eccezione dell'ultimo tratto dell'uretra, sono
normalmente sterili. I pazienti con IVU presentano
in genere una batteriuria pari o superiore a 105 unità
formanti colonie (UFC)/ml (batteriuria significativa),
mentre una carica inferiore a 104 UFC/ml in pazienti
asintomatici indica l'assenza d'infezione (batteriuria
non significativa) o una contaminazione. Il concetto
di batteriuria deve essere comunque interpretato in
relazione al quadro clinico ed a tutti i possibili
fattori interferenti sulla diagnosi microbiologica,
primo fra tutti la modalità di raccolta delle
urine, il contenitore impiegato per la raccolta, il
tempo trascorso tra il prelievo e l'esame, l'entità
della diuresi, il pH urinario, la recente assunzione
di farmaci antibatterici ed infine un'elevata leucocituria,
con numerosi batteri che sfuggono al conteggio in
quanto adesi alla superficie dei globuli bianchi.
La batteriuria può associarsi a sintomi indicativi
di una IVU o essere del tutto asintomatica.
In caso d'infezione la batteriuria si associa generalmente
a piuria ovvero alla presenza di leucociti nelle urine
in numero significativo. La piuria non associata a
batteriuria deve far sospettare un'infezione da Proteus
che ha un'azione lisante sui leucociti o da microrganismi
a lenta crescita o richiedenti particolari condizioni
colturali (bacillo di Kock, anaerobi, emofili, capnofilici,
forme L).
EPIDEMIOLOGIA
L'incidenza delle infezioni urinary
varia a seconda dell'età del soggetto e del
sesso. Nei primi tre mesi di vita il rapporto maschio/femmina
è di 3:1 (ancora superiore nei nati pre-termine
mentre la circoncisione riduce la frequenza. Nel bambino
le infezioni sintomatiche si manifestano frequentemente
con un quadro clinico aspecifico (ritardo di crescita,
febbre). Esse non vanno mai sottovalutate in quanto
possono essere espressione di malformazioni congenite
e condurre ad un danno renale permanente. In età
scolare e in quella adulta la vi è una netta
prevalenza nel sesso femminile (25-40% delle donne
con età compresa fra 20 e 40 anni); l'incidenza
è stimata 0,5/persona/anno. L'incidenza nell'uomo
aumenta in età avanzata per la comparsa di
patologie (prima fra tutte l'adenomatosi prostatica)
che interferiscono con lo svuotamento vescicale determinando
stasi.
Negli anziani la prevalenza delle infezioni urinarie
aumenta oltre che con l'età, con la disabilità
e con l'istituzionalizzazione.
EZIOLOGIA
Nelle infezioni comunitarie il microrganismo
più frequentemente implicato è l'Escherichia
Coli e, meno frequentemente altri batteri Gram-negativi
appartenenti alla famiglia delle Enterobatteriacee,
come il Proteus Mirabilis e la Klebsiella Pneumonie.
Urease-producing organisms, such as Proteus, Providencia,
Morganella spp. and Crynebacterium urealyticum, predispose
to stone formation (struvite). Among patients with
staghorn calculus disease, 88% were found to have
a UTI at the time of diagnosis and 82% of the patients
were infected with urea-splitting organisms. The enzyme,
urease, splits urea into carbon dioxide and ammonia.
The resulting increase in ammonia in the urine injures
the glycosaminoglycan layer, which in turn increases
bacterial adherence and enhances the formation of
struvite crystal. These aggregate to form renal stones
and incrustations on urinary catheters.
Gram-positive organisms (Streptococcus faecalis, Staphylococcus
saprophyticus) and Gram-negatives, others than E.
Coli (Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter spp., Serratia),
are mostly involved in either complicated or nosocomial
UTIs.
L'eziologia delle IVU è diversa a seconda che
si prendano in considerazione episodi d'infezione
non complicata o viceversa. In questi anni si è
tuttavia assistito a significative variazioni dell'ecologia
batterica delle vie urinarie con l'aumento dell'isolamento
di germi tradizionalmente ospedalieri anche nelle
infezioni acquisite in comunità o all'emergenza
di patogeni sino a non pochi anni or sono ritenuti
estranei alle vie urinarie.
I microrganismi più comunemente chiamati in
causa costituiscono parte della normale flora saprofitica
intestinale, sono quindi Gram negativi ed appartenenti
alla famiglia delle Enterobatteriacee. Primo fra tutti
è l'Escherichia Coli, responsabile di oltre
l'80% delle forme comunitarie, anche se recenti studi
forniscono percentuali sensibilmente inferiori. Non
tutti i ceppi di E. coli sono ugualmente uropatogeni
e quelli riscontrati più di frequente nelle
IVU sono i sierogruppi O1, O2, O4, O6, O7, O18, O75,
O150. I ceppi O4 e O6 sono soprattutto responsabili
di infezioni delle alte vie urinarie.
Di più raro riscontro negli episodi isolati
non complicati e di regola in causa nelle forme complicate
sono invece altre Enterobatteriacee quali Proteus
sp., Klebsiella sp., Enterobacter sp. ed anche Staphylococcus
saprophyticus, Pseudomonas aeruginosa, e l'enterococco.
Mentre le IVU comunitarie sono dovute nella maggior
parte dei casi ad un singolo microrganismo, le infezioni
nosocomiali sono spesso polimicrobiche, soprattutto
se conseguenti ad un cateterismo vescicale prolungato.
I batteri in questione sono rappresentati, oltre che
dall'Escherichia coli (soprattutto nei pazienti cateterizzati
per pochi giorni), da Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella
pneumonie, Proteus mirabilis, Serratia sp., Enterococchi,
Enterobacter sp., Providencia stuartii, Morganella
morganii, Staphylococcus epidermidis e Staphyloccoccus
aureus. I batteri Gram positivi sono generalmente
responsabili dei processi suppurativi renali. Nelle
IVU nosocomiali le specie batteriche isolate dipendono
da molti fattori (tipo di paziente, tipo di ospedale,
terapia antibiotica) e si modificano rapidamente,
con isolamento di una nuova specie patogena ogni due
settimane circa. Infine, nei pazienti cateterizzati
a lungo, specialmente se diabetici e trattati con
antibiotici, sono di frequente riscontro taluni miceti:
Torulopsis sp. e Candida sp.. In particolare l'incidenza
della candiduria associata all'utilizzo dei cateteri
vescicali sembra essere raddoppiata negli ultimi dieci
anni.
I batteri possono raggiungere le vie
urinarie attraverso diverse vie: canalicolare ascendente,
ematogena, linfatica, discendente e per contiguità.
La via d'ingresso canalicolare è di gran lunga
la più frequente e per ovvie ragioni anatomiche
(brevità dell'uretra, con sbocco in vicinanza
della vagina e dell'ano), il sesso femminile è
quello maggiormente predisposto. I germi di origine
intestinale trovano nel perineo, assimilabile ad una
piega cutanea, un ambiente favorevole al loro sviluppo
e possono, raggiungendo il meato uretrale esterno,
risalire nell'uretra fino a raggiungere la vescica.
Durante l'atto minzionale si può verificare
una risalita dei germi in quanto, mentre nella fase
iniziale, all'apertura del collo vescicale segue quella
dell'uretra in senso prossimo-distale, al termine
della minzione l'uretra si chiude in senso inverso,
agevolando l'ingresso dei germi in vescica attraverso
un reflusso uretro-vescicale. Le turbolenze del flusso
urinario, conseguenti a restringimenti assoluti o
relativi, funzionali od organici favoriscono il reflusso.
E' stato anche dimostrato che il collo vescicale,
pur partecipando mediante la sua chiusura alla continenza
urinaria, non si oppone alla penetrazione di secrezioni
dall'uretra alla vescica. Giunti in vescica i germi
debbono moltiplicarsi in modo esponenziale per produrre
un'infezione. Dalla vescica i batteri possono risalire
lungo gli ureteri verso i reni, favoriti in questo
processo dalla presenza di un reflusso vescico-ureterale
(congenito o acquisito) (Fig.1). L'edema associato
alla cistite può essere sufficiente ad alterare
la giunzione uretero-vescicale favorendo il reflusso.
Raggiunte le vie escretrici intrarenali, l'infezione
si può propagare al rene attraverso un reflusso
pielo-tubulare o pielo-interstiziale (intrarenale)
che avviene soprattutto a carico di talune papille
piatte, concave o composte, situate generalmente ai
poli del rene. Inoltre, i germi possono passare nel
circolo ematico attraverso un reflusso pielo-venoso
e pielo-linfatico che avviene a livello dei fornici.
Il rene è riccamente vascolarizzato (20-25%
della gittata cardiaca) e quindi germi provenienti
da ferite cutanee, dalla cavità orale (es.
in conseguenza di estrazioni dentarie) o da foci infetti
in altre sedi dell'organismo, possano colonizzarlo
in occasione di batteriemie, determinando generalmente
la formazione di ascessi.
La via linfatica sembra essere di scarsa importanza
e si basa su connessioni linfatiche fra le vie urinarie
e, rispettivamente, il grosso intestino ed i genitali
interni femminili.
La via discendente è la regola nell'infezione
tubercolare mentre è estremamente rara nell'infezione
batterica aspecifica. La sintomatologia vescicale
che si può osservare in corso di pielonefriti
o di pionefrosi è quasi sempre di natura riflessa
e non realmente infiammatoria. Se non esistono fattori
favorenti il ristagno d'urina, la vescica tollera
il passaggio di enormi quantità di pus proveniente
dai reni senza partecipare alla flogosi.
Infine è possibile una diffusione per contiguità
o continuità da parte di processi infettivi
che interessino visceri posti in rapporto con le vie
urinarie.
Il solo ingresso dei batteri nell'apparato urinario
non implica necessariamente lo sviluppo di un'infezione,
che dipenderà dalla virulenza e dal numero
dei microrganismi (carica batterica), dall'efficacia
dei meccanismi di difesa dell'ospite e dall'eventuale
presenza di fattori favorenti l'infezione.
Fattori batterici
I microrganismi causa di IVU sono dotati di specifiche
strutture che consentono la colonizzazione della mucosa
vaginale e periuretrale e quindi la risalita e l'invasione
delle vie urinarie. Il primo passo verso l'infezione
è rappresentato dall'adesione dei batteri alle
cellule epiteliali. Tale adesione è mediata
da proteine di superficie (adesine) localizzate all'estremità
distale di sottili filamenti (pili o fimbrie) che
si proiettano dalla parete del batterio. Attraverso
le adesine, i microrganismi interagiscono con recettori
delle cellule uroteliali e successivamente iniziano
a moltiplicarsi e ad esercitare il loro effetto lesivo.
Con il verificarsi del danno tessutale, dall'infezione
si passa alla malattia. Le molecole di adesione selezionano
quindi i microrganismi in grado di produrre una IVU
e possono influenzare anche la sede di infezione.
In modo particolare distinguiamo due tipi principali
di fimbrie: le fimbrie di tipo I che sono il principale
fattore di colonizzazione ed invasione delle basse
vie urinarie (nonché dei cateteri vescicali),
e le fimbrie di tipo II (fimbrie P) che caratterizzano
la capacità del microrganismo di produrre pielonefrite,
soprattutto con reflusso vescico-ureterale minimo
o assente. Altre fimbrie, come la 075X, possono interferire
con la risposta immunitaria dell'ospite. Molti altri
fattori sono implicati nella virulenza batterica nei
confronti delle vie urinarie. Tra questi la motilità
dei batteri stessi, la capacità di rilasciare
endotossine, di sfuggire alla fagocitosi (presenza
di fimbrie P e di antigeni K) e di produrre sostanze
come l'ureasi (Proteus spp., Staphylococcus saprophyticus
ed occasionalmente altri coliformi), la colicina,
le emolisine, l'aerobactim e l'enterochelina (proteine
che sequestrano il ferro, importante per la crescita
batterica) o altri fattori di necrosi cellulare.
Fattori legati all'ospite
Diversi sono i fattori che possono ostacolare o rispettivamente
favorire l'instaurarsi di un'infezione urinaria. Fra
i primi, il principale è rappresentato semplicemente
dall'abbondante idratazione, con minzioni complete
(assenza di residuo) e non eccessivamente diradate
nel tempo. Inoltre, l'incremento della diuresi comporta
un miglioramento del flusso ematico a livello della
midollare del rene, con diminuzione dell'osmolarità
e potenziamento delle difese contro i batteri. Nell'intervallo
fra le minzioni il continuo rifornimento di nuova
urina dagli ureteri assicura la progressiva diluizione
della carica batterica comunque giunta in vescica.
Nella donna il basso pH vaginale e la presenza di
lattobacilli in vagina, favoriti dall'azione degli
estrogeni, contrastano la colonizzazione da parte
di enterobatteri anche se l'effetto è più
spiccato verso germi che solitamente non determinano
IVU. L'importanza degli estrogeni è testimoniata
dalla maggiore frequenza delle infezioni immediatamente
dopo le mestruazioni con netto decremento dopo l'ovulazione.
Nell'uomo le secrezioni prostatiche hanno proprietà
antibatteriche (sali di zinco), ma è la naturale
lunghezza dell'uretra ed il suo sbocco lontano dalle
zone contaminate dai batteri uropatogeni che rendono
meno frequenti le IVU nel maschio. Infine, la frequenza
delle infezioni è ridotta nei soggetti circoncisi.
L'integrità della mucosa e l'acidità
delle urine costituiscono dei fattori antibatterici
naturali, tuttavia le urine possono essere considerate
un ottimo terreno di coltura per molte specie batteriche
ad eccezione degli anaerobi che richiedono per lo
sviluppo un'alta tensione d'ossigeno. I glicosaminoglicani
presenti nelle urine e sulla superficie uroteliale
possono prevenire l'aderenza batterica interagendo
con le adesine ed agglutinando i batteri che sono
poi allontanati con la minzione. La proteina di Tamm-Horsfall,
prodotta dai tubuli distali, presenta un recettore
per le fimbrie di tipo I e per i leucociti polimorfonucleati,
favorendo la rimozione dei batteri. La competenza
della giunzione uretero-vescicale, la peristalsi ureterale
e la presenza di papille renali non refluenti si oppongono
alla progressione del processo infettivo dalla vescica
verso le alte vie escretrici e nel parenchima renale.
Il ruolo del sistema immunitario nelle IVU resta tuttora
poco chiaro.
Numerosi sono i fattori che favoriscono le IVU (Tab.
II). Nella donna, come riportato in precedenza, la
brevità dell'uretra ed il suo sbocco in vicinanza
dell'ano possano predisporre alle infezioni. Il fenotipo
non secretore (assenza di particolari glicoproteine
nelle secrezioni mucose) e la presenza dell'antigene
d'istocompatibilità A3, sarebbero correlati
ad una maggiore frequenza di IVU, che quindi, riconoscerebbero
una predisposizione geneticamente determinata. L'attività
sessuale, l'impiego di creme spermicide o di contraccettivi
intrauterini, gli squilibri ormonali (es. menopausa)
che alterano l'ecosistema batterico vaginale e possono
favorire l'instaurarsi di difetti anatomo-funzionali
(alterazioni della statica pelvica con residuo e/o
incontinenza), le errate abitudini minzionali (svuotamento
vescicale incompleto e minzioni eccessivamente dilazionate),
l'irregolarità dell'alvo, la scorretta igiene
della regione perineale (trasporto di germi verso
il meato uretrale, abuso di detergenti intimi che
alterano la flora vaginale), le manovre endoscopiche
sulle vie urinarie, il cateterismo vescicale transuretrale,
tutte le patologie, congenite o acquisite, che possono
determinare stasi urinaria, i corpi estranei nelle
vie urinarie (compresi i calcoli), la compromissione
delle difese immunitarie, il reflusso vescico-ureterale
ed il trapianto renale, sono tutte condizioni che
comportano un maggiore rischio di IVU. Nel rene la
parte che fisiologicamente è più indifesa
nei confronti dell'aggressione batterica è
la midollare in conseguenza della scarsa vascolarizzazione,
dell'elevata concentrazione d'ammonio, che blocca
l'attivazione del complemento, e dell'ipertonicità,
che riduce la fagocitosi. Tutte le malattie che colpiscono
il parenchima renale ne riducono ulteriormente le
difese. Due altre importanti condizioni predispongono
alle IVU: la gravidanza ed il diabete. Durante la
gravidanza si ha una certa stasi urinaria, determinata
da cause meccaniche (compressione ureterale, soprattutto
a destra, da parte dell'utero gravido ed, in minor
misura, dalle vene ovariche congeste) ed ormonali
(ridotta peristalsi indotta dal progesterone), per
lo stesso motivo si ha l'insorgenza di stipsi. Inoltre
si può avere glicosuria e la comparsa di un
reflusso vescico-ureterale, favorito dalla riduzione
del tragitto intramurale degli ureteri. La batteriuria
in gravidanza predispone alla pielonefrite acuta che,
se non trattata, può determinare l'insorgenza
di gravi complicanze. E' opinione comune che il paziente
diabetico sia predisposto alle IVU a causa della glicosuria,
della riduzione delle difese immunitarie, della possibile
compromissione neurologica della vescica e della microangiopatia.
In realtà numerosi studi epidemiologici non
sono stati conclusivi in merito e, almeno nei diabetici
con buon controllo metabolico, l'incidenza delle infezioni
urinarie sembra essere simile a soggetti di controllo.
DIAGNOSI
Urocoltura ed esame delle urine
La diagnosi di un IVU è principalmente basata
sulla clinica; alcune indagini di laboratorio confermano
il sospetto diagnostico e guidano la terapia.
L'esame principale è l'urocoltura che fornisce
indicazioni sul numero e sulla specie del batterio
infettante. In caso di urocoltura positiva si associa
l'antibiogramma che permette di valutare la sensibilità
del/i microrganismo/i ai diversi antibiotici. L'esito
dell'urocoltura dipende da diversi fattori, quali
il tempo di permanenza delle urine in vescica (un
tempo eccessivamente lungo può condurre a falsi
positivi), la modalità di raccolta del campione
e la conservazione del campione. L'urocoltura è
attendibile solamente se la raccolta delle urine è
avvenuta in modo congruo, evitando la contaminazione
uretrale, meatale ed ambientale. Il mitto intermedio
rappresenta la modalità usualmente seguita,
altre metodiche, impiegate in casi particolari, sono
rappresentate dalla puntura sovrapubica, dal sacchetto
di plastica adesivo (nei bambini) e dal cateterismo
vescicale (per il test di Meares si veda il capitolo
delle affezioni prostatiche). I contenitori devono
essere sterili, in plastica, monouso, a bocca larga
e muniti di chiusura ermetica. L'urina deve essere
esaminata entro 30 minuti se rimane a temperatura
ambiente, 6 ore se mantenuta a + 4°C, 24 ore se
a 4°C con aggiunta di acido borico all'1,8% o
di polivinilpirrolidone all'1%. All'urocoltura si
associa l'esame delle urine i cui elementi di maggior
interesse, nel caso delle IVU, sono, l'aspetto (torbido
in caso di piuria), il pH (alcalino in presenza di
germi produttori di ureasi, enzima che scinde l'urea
in ammoniaca), la presenza di nitriti, di lieve proteinuria
e l'analisi del sedimento con ricerca di leucociti,
emazie, batteri, cellule di sfaldamento epiteliale,
cilindri granulosi, leucocitari e cerei (assenti con
pH alcalino). L'esame delle urine può anche
essere condotto in prima battuta mediante strisce
reattive che consentono di evidenziare la presenza
di leucociti (mediante l'esterasi leucocitaria) e
di nitriti.
Nella donna giovane-adulta con quadro clinico di infezione
non complicata delle basse vie urinarie confermata
dall'esame delle urine con stick non vi è generalmente
indicazione ad eseguire l'urocoltura. Infatti, in
tali casi è meno dispendioso instaurare subito
un trattamento antibiotico. L'uso routinario dell'urocoltura
prima della terapia nelle infezioni delle basse vie
urinarie determina un aumento considerevole dei costi
con una riduzione della durata dei sintomi solamente
del 10%. L'urocoltura diventa necessaria in particolari
circostanze, quali episodi recidivanti, pielonefrite,
scarsa responsività alla terapia antibiotica,
età superiore a 65 anni, paziente di sesso
maschile, infezione complicata o in corso di gravidanza.
In talune di queste occasioni occorre anche ricercare
eventuali fattori favorenti l'infezione, che debbono
essere, se possibile, eliminati.
Localizzazione della sede
Per stabilire la sede dell'infezione urinaria ci si
basa generalmente su dati clinici ed, in casi particolari,
qualora sia indispensabile distinguere fra infezioni
delle basse e delle alte vie urinarie, su esami di
laboratorio, manovre strumentali o esami radiologici
(ecografia, TC, urografia, scintigrafia). Questi ultimi
sono particolarmente utili nel ricercare fattori predisponenti
(ostruzione dell'apparato urinario) e nelle infezioni
complicate delle alte vie escretrici.
Il test di Thomas si basa sulla rilevazione mediante
immunofluorescenza di complessi batteri-anticorpo
nelle urine. Questo test, più che definire
la sede dell'infezione, è indice d'invasione
tessutale e quindi non di semplice colonizzazione
di superficie. Nelle pielonefrite in fase iniziale
può risultare falsamente negativo e, nel complesso,
la sua sensibilità è dell'88% e la specificità
del 76%. Un discorso analogo vale per la ricerca di
anticorpi specifici sierici. Nel sospetto di una pielonefrite
possono essere dosate nelle urine alcune sostanze
come indice di danno renale (b2 microglobulina, lattico-deidrogenasi,
fosfatasi alcalina, malico-deidrogenasi, n-acetil-b-glucosaminidasi,
lisozima). La presenza nel sedimento urinario di cilindri
indica un interessamento del parenchima renale. La
scintigrafia con Gallio-67 o con Indio-111 presenta
delle limitazioni di sensibilità e di specificità
e può risultare utile qualora si sospettino
ascessi intra-addominali in assenza di segni di localizzazione,
o nei casi in cui il sospetto clinico di ascesso rimanga
elevato ma la risposta ecografica o della TC sia dubbia
o negativa. Come test ex juvantibus si può
trattare l'infezione con una singola dose di antibiotico,
se vi è una risposta positiva si può
escludere che l'infezione interessi le alte vie urinarie.
Infine esistono metodiche invasive, quali il cateterismo
ureterale con prelievo selettivo dell'urina ed il
lavaggio vescicale con soluzione antibiotica (la mancata
negativizzazione dell'urocoltura indica un processo
infettivo delle alte vie escretrici).
Nella pratica clinica comune, l'anamnesi e l'esame
obiettivo del paziente, associati all'esame delle
urine ed all'urocoltura continuano a rappresentare
gli elementi principali per la diagnosi e l'impostazione
terapeutica di una buona parte delle IVU.
CLASSIFICAZIONE
Le IVU sono state classificate in vario
modo, in base alla presenza o meno di sintomi, alla
sede (alte o basse vie urinarie), all'andamento clinico
e temporale (acuta o cronica, isolata o recidivante),
alla gravità (complicata o non complicata)
ed a criteri anatomopatologici.
Non sempre è facile definire la sede esatta
dell'infezione e d'altrocanto l'apparato urinario
rappresenta un'unità anatomofunzionale dal
parenchima renale all'uretra e quindi la suddivisione
delle IVU in singole unità cliniche non deve
far dimenticare il possibile interessamento simultaneo
di più distretti o anche dell'intero apparato.
La definizione d'infezione urinaria cronica (es. pielonefrite
cronica) non indica necessariamente un processo infettivo
persistente, di lunga durata, quale può essere
generalmente quello tubercolare ma può riferirsi
ad episodi infettivi ripetuti con un danno strutturale
irreversibile.
Le infezioni non complicate sono più frequenti
nel sesso femminile ed implicano l'assenza di anomalie
strutturali e funzionali delle vie urinarie. Le infezioni
complicate sono distribuite uniformemente in entrambi
i sessi e sono associate a germi resistenti ai comuni
antibiotici e/o a fattori favorenti quali alterazioni
anatomofunzionali delle vie urinarie, immunodepressione,
malattie dismetaboliche, ospedalizzazione.
Con il termine di infezione isolata si intende il
primo episodio di IVU o quello separato da precedenti
infezioni da almeno 6 mesi. Reinfezione indica una
recidiva sostenuta da un microrganismo diverso dal
precedente mentre con infezione ricorrente si intende
una recidiva determinata sempre dallo stesso microrganismo
proveniente dall'esterno delle vie urinarie o da un
focus infetto delle vie urinarie (infezione persistente).
INFEZIONI DEL TRATTO URINARIO INFERIORE
Cistite
Il termine generico di cistite indica l'infiammazione
della vescica indipendentemente dall'eziologia (infettiva,
allergica, chimica, immunitaria o da agenti fisici).
Trattando le IVU, si farà riferimento in modo
particolare alla cistite batterica acuta che è
una delle più frequenti malattie umane. Le
forme croniche sono più frequentemente determinate
da altre cause (allergica, chimica, immunitaria, agenti
fisici, infezione tubercolare, parassiti).
Dal punto di vista anatomopatologico, nelle forme
acute vi è un interessamento della mucosa con
relativa integrità della muscolare, mentre
la sottomucosa partecipa alla flogosi diversamente
secondo l'intensità della stessa e l'aggressività
dell'agente patogeno. L'edema assume frequentemente
l'aspetto bolloso, soprattutto in vicinanza del collo
vescicale. Le forme croniche si caratterizzano per
una sclerosi della tunica muscolare, della sottomucosa
e talora del pericistio (Tab. III).
Il quadro clinico è dominato dai disturbi minzionali,
rappresentati da pollachiuria importante, sia diurna
che notturna, stranguria, generalmente terminale,
tenesmo vescicale, piuria con urine torbide o francamente
purulente e maleodoranti (odore ammoniacale in presenza
di germi che scindono l'urea ed odore di pesce lesso
nelle forme da colibacillo). I sintomi sono invalidanti
ma non vi è compromissione dello stato generale
del soggetto e, se l'infezione è limitata alla
vescica, la febbre è infrequente. L'esame obiettivo
evidenzia un dolore alla palpazione sovrapubica. Può
essere presente ematuria.
Come già indicato precedentemente, l'evento
singolo di cistite acuta nella donna giovane-adulta
non necessita di particolari accertamenti. Infine,
le cistiti possono richiedere una diagnosi differenziale
nei confronti di altre affezioni che si presentano
con disturbi minzionali irritativi, quali, principalmente,
la tubercolosi urinaria (urocoltura standard negativa,
esame delle urine con leucocituria e pH acido), la
cistite attinica, la cistite chimica, la sindrome
uretrale e la cistite interstiziale (urocoltura negativa),
il carcinoma vescicale, soprattutto il carcinoma in
situ (urocoltura negativa, citologici positivi), la
calcolosi vescicale (a cui si può sovrapporre
un'infezione), le vaginiti e le uretriti.
INFEZIONI DEL TRATTO URINARIO SUPERIORE
Pielonefrite acuta
La pielonefrite acuta è un'infiammazione batterica
che coinvolge contemporaneamente la pelvi, i calici
e l'interstizio della papilla e della piramide midollare
del rene. I germi in questione (soprattutto Enterobatteriacee)
e le vie d'infezione (canalicolare ascendente, raramente
ematica come nell'infanzia per la pielonefrite da
Klebsiella o da coliformi conseguente a meningite
purulenta) sono già stati discussi. Altre infiammazioni
batteriche acute dell'interstizio renale sono rappresentate
dalla nefrite acuta batterica focale o lobare (lobar
nephronia) e dalla nefrite acuta batterica diffusa.
Nei pazienti con pielonefrite acuta è spesso
pre-esistente una batteriuria asintomatica.
Da un punto di vista antomopatologico il rene interessato
dalla pielonefrite si presenta aumentato di volume,
teso, edematoso e pertanto pallido. A livello della
midollare vi sono focolai d'essudazione tendenzialmente
suppurativa che in un secondo tempo si estendono alla
corticale. La mucosa pielo-calicale è ispessita,
arrossata, edematosa, a tratti ulcerata o ricoperta
da materiale essudatizio proteico o da membrane di
fibrina che possono poi fungere da nucleo d'aggregazione
di calcoli. L'urina nelle vie escretrici renali è
torbida. Istologicamente si ha un interessamento iniziale
di alcune zone dell'interstizio midollare con un infiltrato
infiammatorio acuto che successivamente si estende
alla corticale con formazione di piccoli ascessi a
volte confluenti. I glomeruli resistono più
a lungo alla flogosi rispetto ai tubuli. L'esito è
la restitutio ad integrum o la guarigione con sostituzione
fibrosa delle zone colpite. Oltre alla più
frequente pielonferite diffusa (catarrale o flemmonosa)
vi è una forma circoscritta che prende il nome
di papillite necrosante (necrosi papillare), in cui
la flogosi suppurativa si localizza elettivamente
all'apice della piramide. E' un vero e proprio ascesso
della papilla renale la quale può essere parzialmente
od interamente eliminata attraverso le urine. La predilezione
per la parte più delicata della midollare è
favorita da un precedente danno vascolare. Infatti,
il diabete costituisce uno dei principali fattori
predisponenti per la necrosi papillare seguito dall'abuso
d'analgesici, dall'emoglobinopatia a cellule falciformi
e dall'uropatia ostruttiva.
La pielonefrite acuta si caratterizza per un esordio
brusco con dolore a livello dell'angolo costo-vertebrale,
febbre elevata preceduta da brivido e piuria. Lo stato
generale del paziente è compromesso, con prostrazione
e malessere. Possono essere presenti disturbi neuro-vegetativi,
come nausea e vomito, così come sintomi di
tipo cistitico. Questi ultimi, come già rilevato,
non indicano necessariamente un interessamento del
basso tratto urinario ma più spesso riconoscono
un'origine riflessa. L'andamento febbrile è
fortemente remittente o intermittente, tranne che
nelle gravi uropatie ostruttive nelle quali esso può
essere sub-continuo. Nel paziente anziano il quadro
clinico può essere aspecifico con confusione
mentale o sintomi gastrointestinali o polmonari, mentre
in circa 1/3 dei casi non è presente febbre.
In caso di necrosi papillare il quadro clinico è
variabile e può essere acuto, rapidamente progressivo
e fulminante o caratterizzato da ematuria accompagnata
da colica renale o essere del tutto subdolo. Frammenti
necrotici possono essere rintracciati nelle urine.
All'esame obiettivo si apprezza frequentemente una
tensione alla palpazione bimanuale della loggia renale
con dolore alla percussione. La diagnosi ancora una
volta si basa sul quadro clinico, sull'esame dell'urina
e sull'urocoltura. All'esame emocromocitometrico si
evidenzierà una leucocitosi neutrofila. La
diagnosi differenziale va fatta con l'appendicite
retrocecale, con l'ascesso subfrenico e con la pleurite
basale; la distinzione nei confronti di altri processi
infettivi acuti del rene (pionefrosi e pionefrite)
non è semplice sulla base del solo quadro clinico.
Le complicanze della pielonefrite acuta sono rappresentate
dall'estensione del processo flogistico all'atmosfera
adiposa perirenale con andamento flemmonoso ed invasione
di spazi, tessuti od organi adiacenti e dall'evoluzione
setticemica, favorita da condizioni di stasi urinaria
e/o riduzione delle difese del paziente. Altra complicanza
grave è la pielonefrite enfisematosa, infezione
necrotizzante acuta che coinvolge il rene e lo spazio
perirenale; il microrganismo più frequentemente
isolato è l'Escherichia coli ed i pazienti
presentano generalmente un'ostruzione delle alte vie
urinarie, litiasi e/o diabete. Le condizioni generali
sono molto compromesse e la mortalità è
elevata.
La prognosi, nei casi non complicati è generalmente
buona e dipende dall'impiego di antibiotici efficaci
e dalla correzione di eventuali fattori predisponenti.
Un discorso a parte merita la pielonefrite acuta in
gravidanza. Essa è stata posta in relazione
alla batteriuria presente prima del concepimento.
L'incidenza della batteriuria in gravidanza è
del 4-7%, quindi sovrapponibile a quella che si riscontra
nella popolazione femminile generale. Tuttavia, circa
il 20-40% delle donne con batteriuria durante la gravidanza,
svilupperà una pielonefrite acuta, mentre ciò
accade solamente nello 0,5-1% in assenza di batteriuria.
In era pre-antibiotica la pielonefrite acuta presentava
un'alta percentuale di prematurità e di mortalità
perinatale. Il meccanismo correlato alla prematurità
sembra essere la produzione di fosfolipasi A2 da parte
del microrganismo infettante che è in grado
di indurre l'inizio del travaglio. Durante la gravidanza,
la batteriuria, sia sintomatica che non, va quindi
trattata con antibiotici mediante i quali il rischio
di complicanze si riduce di circa 10 volte.
Pielonefrite cronica
Con il termine di pielonefrite cronica s'intende un
insieme di processi patologi che interessano il bacinetto,
i calici e l'interstizio renale, determinando delle
lesioni croniche (ab initio o come evoluzione di un
processo acuto). Solo una parte di queste affezioni
può essere correlata ad un'eziologia batterica;
altri meccanismi sono rappresentati principalmente
da fattori tossici. Anche il reflusso vescico-ureterale
di per sé, ovvero in assenza di batteri, può
determinare un danno renale cronico. Quindi, alcune
pielonefriti croniche riconoscono gli stessi fattori
eziopatogenetici delle infezioni urinarie, ai quali
si aggiunge un meccanismo in genere poco valorizzato
rappresentato dalla batteriemia asintomatica quale
si può verificare in corso di estrazioni dentarie
o per ferite anche lievi con passaggio di germi nel
circolo ematico, colonizzazione di organi riccamente
vascolarizzati e sviluppo di flogosi focali che non
raramente evolvono in maniera cronica.
Macroscopicamente il rene risulta rimpicciolito con
una superficie irregolare per la presenza d'infossamenti
che corrispondono ad aree cicatriziali (rene grinzo).
La capsula renale appare aderente al parenchima ed
anche il tessuto adiposo perirenale partecipa all'evoluzione
sclerotica divenendo anch'esso difficilmente scollabile
dal rene. Il parenchima renale è assottigliato
e percorso da chiazze o strie biancastre; i calici
sono deformati a clava e più o meno ravvicinati
alla capsula renale ("corticalizzazione"
dei calici anche se a rigore è la corticale
che si avvicina ai calici e non viceversa), le papille
sono appiattite. Nelle fasi avanzate i reni diventano
estremamente piccoli a volte irriconoscibili. La corrispondenza
delle aree cicatriziali del parenchima alle lesioni
dei calici permette di distinguere la pielonefrite
cronica da altre nefropatie raggrizzanti. Istologicamente
le lesioni hanno carattere zonale con interessamento
dell'interstizio, dei tubuli e dei glomeruli; si ha
un infiltrato parvicellulare, fenomeni di sclerosi
periglomerulare (che caratterizzano la pielonefrite
cronica batterica da altre forme di pielonefrite),
jalinizzazione dei glomeruli, atrofia dei tubuli,
ectasia dei dotti collettori ripieni di una sostanza
amorfa, eosinofila simile alla colloide tiroidea (trasformazione
similtiroidea del parenchima renale).
La sintomatologia non è tipica. Il dolore renale
è incostante e può essere rappresentato
da una dolenzia in regione lombare; episodi febbrili
sono rari; in genere il quadro clinico è dominato
dall'insufficienza renale e dalle sue complicanze,
qualora tutte e due i reni siano interessati o quando
il rene controlaterale non riesca a supplire la ridotta
funzione di quello adelfo.
Nella diagnosi, accanto all'anamnesi (ricerca di episodi
pielonefriti acuti, reflusso vescico-ureterale, batteriuria
in gravidanza) all'esame dell'urina (ipostenuria,
eventuale batteriuria, cilindruria), agli indici di
funzionalità renale (incremento della creatininemia
e dell'azotemia e delle rispettive clearances), risulta
importante l'ecografia e, soprattutto, l'urografia
che pone in evidenza le caratteristiche macroscopiche
tipiche della pielonefrite cronica.
Ascesso renale e peri/pararenale
L'ascesso renale è la raccolta di materiale
purulento all'interno del parenchima renale, rappresenta
quindi una pionefrite. Fino ad anni recenti la maggior
parte degli ascessi renali avveniva per via ematogena
da parte dello Stafilococco aureo. La fonte d'infezione
può risiedere in ogni distretto corporeo (cavo
orale, cute, polmone ossa, ecc.), ma non raramente
la porta d'ingresso dei microrganismi resta misconosciuta.
Essendo la circolazione arteriosa renale di tipo terminale,
gli emboli micotici raggiunta un'arteriola di piccolo
calibro determinano un'ischemia con necrosi tessutale
(infarto bianco). L'invasione del tessuto mortificato
da parte di microrganismi piogeni determina la successiva
suppurazione. La sede di tali ascessi è la
corticale del rene. Accanto all'ascesso circoscritto,
si ha una forma acuta miliare, in corso di setticopiemia,
con ascessi metastatici multipli, a prognosi infausta.
Negli ultimi decenni i batteri Gram negativi sono
divenuti i principali agenti eziologici degli ascessi
renali. La diffusione ematogena di batteri Gram negativi
rappresenta un evento probabile, ma non la modalità
primaria della formazione d'ascessi. L'infezione ascendente,
associata ad ostruzione, rappresenta invece la causa
principale degli ascessi da Gram negativi. Tali ascessi
possono costituire l'evoluzione di una nefrite batterica
acuta focale. Essi si localizzano nella midollare
del rene e nei due terzi dei casi sono associati a
calcoli o a preesistente danno renale.
Il quadro clinico locale è caratterizzato da
un vivo dolore in corrispondenza dell'angolo costo-vertebrale,
esacerbato dalla palpazione, dai colpi di tosse, dalle
inspirazioni profonde o dai movimenti del dorso, che
costringe il paziente ad assumere una posizione antalgica.
E' presente un'ipomobilità del diaframma dal
lato interessato ed una febbre elevata con puntate
brusche, precedute da brividi intensi e seguite da
remissioni con abbondanti sudorazioni, le condizioni
generali sono generalmente compromesse. Le urine,
in caso di mancato interessamento delle vie urinarie,
si mantengono limpide. L'ascesso renale può
drenarsi spontaneamente nelle vie escretrici o estendersi
nella loggia renale e nel grasso pararenale, discendendo
verso il basso ed affiorando a livello lombare, nel
triangolo di Petit o nel quadrilatero di Grynfeltt
o, ancora più in basso, nel triangolo di Scarpa
oppure nella regione glutea attraverso il grande forame
ischiatico, rendendosi così evidente all'ispezione
ed alla palpazione. Superiormente il processo suppurativo
si può estendere, superando il diaframma, alla
pleura (empiema pleurico) ed al polmone svuotandosi
all'esterno mediante i bronchi con una vomica.
In passato, gli ascessi renali erano diagnosticati
con difficoltà essendo riconosciuti in almeno
il 40% dei casi solamente post-mortem. Attualmente,
per la diagnosi ci si avvale oltre che dell'anamnesi
(ricerca di una recente infezione da Gram positivi),
dell'esame obiettivo e del quadro clinico, soprattutto
dell'ecografia (Fig. 2) e della TC dell'addome (Fig.
3) che consentono di distinguere l'ascesso da altre
masse renali, di determinarne le dimensioni e l'estensione
e di effettuarne la puntura evacuativa percutanea
utile per individuare l'agente eziologico, instaurare
una terapia mirata e drenare la raccolta stessa. Anche
la semplice radiografia dell'addome può fornire
importanti informazioni evidenziando una bozzatura
dell'ombra renale o, nel caso di un ascesso peri/pararenale,
la scomparsa dell'ombra dello psoas ed una scoliosi
con concavità diretta verso il lato interessato.
E' presente leucocitosi marcata, le emocolture sono
frequentemente positive mentre può non essere
presente né piuria né batteriuria.
La prognosi varia moltissimo a seconda dello stato
generale nel quale si trova il paziente all'atto della
localizzazione renale del processo suppurativo. E'
molto seria nelle forme diffuse e setticemiche.
Pionefrosi ed idronefrosi infetta
La pionefrosi è una distruzione suppurativa
del rene. Allo stesso processo, quando sia già
presente un'idronefrosi (dilatazione modesta o grave
del sistema pielocalicale in grado di determinare
un danno progressivo del parenchima renale) si da
il nome di idropionefrosi. Alla base della pionefrosi
vi sono due condizioni: ostruzione e quindi stasi
urinaria ed infezione, per via ascendente o ematica.
A volte l'infezione può essere iatrogena per
strumentazioni effettuate in cavità ostruite.
Si distinguono delle forme acute (ostruttive, da pielonefrite
flemmonosa, da idronefrosi infetta) e croniche (fibrosante,
policavitaria-atrofica, monocavitaria-sacca purulenta).
L'andamento acuto o cronico del processo flogistico
non è determinato dalla carica batterica, dalle
condizioni del rene o dalla via d'infezione, ma principalmente
dalla reattività dell'ospite. Nelle forme avanzate,
irreversibili, il parenchima renale è completamente
trasformato in una sacca piena di pus. Esistono invece
delle forme in cui alla suppurazione si associa la
sclerosi, con conservazione di parte del parenchima
che risulta però non funzionante; la sclerosi
si può estendere al tessuto adiposo perirenale
ed intrasinusale (sclerolipomatosi).
La sintomatologia può variare in rapporto all'andamento
acuto o cronica della pionefrosi e della via d'infezione.
In genere il quadro clinico è caratterizzato
da dolore o semplice dolenzia lombare, febbre intermittente
o febbricola, accompagnate o meno da sintomi delle
basse vie urinarie. Può essere presente una
tumefazione del fianco ed eventualmente una fistola
cutanea così come una compromissione più
o meno grave delle condizioni generali.
La palpazione della loggia renale evoca dolore e può
evidenziare una massa ballottabile. Accanto all'esame
delle urine sono nuovamente di fondamentale importanza
per pianificare la terapia chirurgica l'ecografia,
l'urografia ed in modo particolare la TC.
Pielonefrite xantogranulomatosa
Si tratta in realtà di una pionefrosi di raro
riscontro. E' un'infezione cronica che porta alla
distruzione diffusa del rene che appare aumentato
di dimensioni, con parenchima sostituito da noduli
giallastri e granulazioni pericalicali. E' comune
un'intensa fibrosi perirenale. All'esame microscopico
sono presenti istiociti schiumosi infarciti di lipidi
(cellule xantomatose) e spesso sono evidenti aree
necrotico-emorragiche. La pielonefrite xantogranulomatosa
è più frequente nel sesso femminile,
nella 5a-7a decade di vita. Il 15% circa dei pazienti
è diabetico e frequentemente è associata
una calcolosi renale ed un'infezione da Proteus o
E.coli.
La maggior parte dei pazienti riferisce dolore lombare,
febbre e malessere generale. All'esame obiettivo si
può riscontrare una massa in loggia renale.
La diagnosi differenziale nei confronti del tumore
renale è estremamente difficile anche con la
TC dell'addome e spesso si ricorre alla nefrectomia
nel sospetto di una patologia neoplastica. La ricerca
delle cellule xantomatose nelle urine può essere
d'aiuto. Inoltre anche l'aspetto microscopico (vedi
sopra) è abbastanza simile a quello del carcinoma
renale a cellule chiare.
SEPSI E FEBBRI UROSETTICHE
Con il termine di sepsi o setticemia
si intende una patologia sistemica caratterizzata
da alterazioni metaboliche ed emodinamiche, associate
alla presenza e moltiplicazione di microrganismi patogeni
o di endotossine nel sangue. Quando è presente
una significativa riduzione della pressione arteriosa
sistolica si parla di shock settico (Tab. IV). Un'infiammazione
sistemica (SIRS) clinicamente indistinguibile dalla
setticemia e da cui si differenzia solo per l'assenza
di infezione, può verificarsi in presenza di
pancreatite acuta, ustioni, politraumi.
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito
ad un notevole incremento dei casi di sepsi, soprattutto
di origine nosocomiale. Si stima che l'1-2,5% dei
pazienti ospedalizzati sviluppi una batteriemia nel
corso del ricovero.
La sepsi di origine urinaria (infezione urinosa) è
dovuta ad un'immissione in circolo di germi patogeni
provenienti dalle vie urinarie. La condizione locale
che favorisce al tempo stesso l'infezione e la sepsi
è la stasi urinaria. Spesso si possono riconoscere
delle cause scatenanti rappresentate soprattutto da
manovre strumentali (cateterismi, endoscopie, uretrografie,
pielografie ascendenti) (Fig.5), specialmente qualora
si verifichi un'infrazione mucosa del tratto urinario.
I germi possono raggiungere il torrente circolatorio
direttamente (es. lesione iatrogena dell'uretra spongiosa,
reflusso pielo-venoso da rottura di un fornice per
distensione delle alte vie escretrici) o indirettamente
attraverso i linfatici retroperitoneali, o un reflusso
pielo-linfatico o pielo-interstiziale. I fattori predisponenti
generali sono rappresentati dall'età avanzata
o neonatale, dal diabete e da condizioni di immunosoppressione.
I germi in questione sono più frequentemente
Gram negativi, soprattutto E.coli, seguita da Klebsiella,
Pseudomonas, Enterobacter, Serratia, Proteus spp.
con l'aggiunta non sempre dimostrabile di anaerobi
patogeni.
Lo shock settico è determinato da una cascata
di eventi messi in atto dall'organismo nei confronti
dell'agente patogeno. Il principale fattore scatenante
è rappresentato dall'endotossina batterica,
un componente lipopolisaccaridico della membrana esterna,
che possiede caratteristiche altamente immunogene.
Ad esso si deve l'attivazione di meccanismi umorali
(sistema del complemento, fattore XII) e cellulari
(monociti, neutrofili e cellule endoteliali) con produzione
di citochine, monossido d'azoto, sostanze citotossiche,
prostaglandine, fattore d'attivazione delle piastrine
ed altri mediatori biologici, che portano alle alterazioni
emodinamiche e metaboliche caratteristiche della sepsi
e dello shock.
Il quadro clinico può essere caratterizzato
da un unico accesso, accessi multipli o andamento
cronico (raro).
La forma più frequente è rappresentata
da un accesso unico ad evoluzione rapida (tipicamente
dopo manovre strumentali sull'uretra) che si caratterizza
per la comparsa repentina di brividi squassanti, sensazione
di freddo con cianosi dell'estremità; in poco
tempo il brivido ed il freddo lasciano il posto ad
una sensazione di calore intenso, con arrossamento
del volto ed ascesa della febbre fino a 40°C.
Dopo alcune ore si verifica un'intensa sudorazione
con defervescenza per crisi. A tali sintomi si associano
tachipnea con alcalosi respiratoria, tachicardia,
nausea e vomito. Tale quadro clinico si risolve generalmente
nell'arco di 24 ore. Modificazioni dello stato di
coscienza possono essere importanti e clinicamente
significative. Soprattutto nei pazienti anziani l'unico
segno può essere l'obnumilamento mentale. Esistono
forme che perdurano più a lungo; la febbre
è elevata ed assume carattere continuo, con
minime remissioni mattutine e preceduta da brividi
squassanti, e si associa ad ipotensione. In alcuni
casi, con il progredire del quadro clinico si possono
osservare delle lesioni cutanee: l'ectima gangrenoso
(lesione ad occhio di bue) si associa soprattutto
a sepsi da Pseudomonas aeruginosa, le petecchie, l'eritema
diffuso, la gangrena periferica sono relative alla
coagulazione intravascolare disseminata. Se la sepsi
si prolunga vi può essere un quadro di insufficienza
multiorgano (MOF) coinvolgente i polmoni, il rene
ed il fegato.
La mortalità associata allo shock settico è
tuttora superiore al 30%; la prognosi dipende della
tempestività della diagnosi (individuazione
dell'agente patogeno e della fonte di batteriemia),
dall'appropriatezza della terapia e da eventuali malattie
concomitanti del paziente.
TERAPIA DELLE INFEZIONI URINARIE
La terapia delle IVU si basa principalmente
sull'impiego di antibiotici e sulla correzione di
eventuali fattori predisponenti (vedi sopra). Il trattamento
antibiotico deve tenere conto che la storia naturale
delle IVU è diversa a seconda della sede dell'infezione
e della presenza o meno di eventuali situazioni di
rischio. Nella donna adulta non in gravidanza, ad
esempio, la prognosi della cistite batterica acuta
è ottima anche a prescindere dal trattamento,
il cui scopo principale è quello di abbreviare
la durata della sintomatologia. In altre circostanze,
la terapia antibiotica si prefigge lo scopo di impedire
il verificarsi di serie complicanze. I farmaci antimicrobici
debbono raggiungere adeguate concentrazione nelle
urine ed indurre la completa scomparsa della crescita
batterica. La causa più comune di batteriuria
irrisolta è rappresentata dalla resistenza
batterica nei confronti dell'antibiotico scelto per
la terapia. Tale resistenza può dipendere da
una naturale insensibilità del germe per il
farmaco in questione oppure può essere dovuta
alla selezione di mutanti resistenti o ancora può
essere mediata da plasmidi. La scelta dell'antibiotico
deve basarsi sulla gravità dell'infezione (complicata
o meno, interessante le basse o le alte vie urinarie),
l'efficacia nei confronti del probabile patogeno (nel
caso si disponga dell'urocoltura e dell'antibiogramma
la scelta risulta semplificata), l'eventuale stato
di gravidanza o ipersensibilità del paziente,
i possibili effetti collaterali (compresa la tossicità
epatica e renale) ed infine, non meno importante,
il costo. Molti sono gli agenti antimicrobici che
possono essere impiegati nelle IVU, i più comuni
sono indicati nella tabella V.
Nel trattamento della cistite acuta non complicata
della donna giovane, il farmaco di prima scelta è
rappresentato dal Cotrimossazolo. Altri farmaci di
comune impiego sono La Fosfomicina e la Nitrofurantoina.
I Fluorchinoloni sono altamente efficaci e ben tollerati
ma risultano più costosi. Il loro utilizzo
è soprattutto indicato nelle infezioni recidivanti,
in caso di insuccesso terapeutico, di allergie verso
altri farmaci, di resistenze microbiche e in presenza
di infezioni complicate. Se impiegati incongruamente
potrebbero generare delle resistenze e perdere di
efficacia nelle infezioni delle vie respiratorie o
polimicrobiche o nelle infezioni genitourinarie gravi,
comprese le prostatiti. Le cefalosporine e le penicilline
sono i farmaci di scelta nella gravidanza.
Per quanto riguarda la durata della terapia, nella
donna con cistite acuta batterica non complicata la
terapia antibiotica monodose è in generale
meno efficace di una terapia prolungata. La maggior
parte degli antibiotici somministrati per 3 giorni
sono efficaci come lo stesso antibiotico somministrato
più a lungo. Nelle donne anziane e nelle cistiti
provocate da S. saprophyticus è preferibile
una terapia di 7 giorni. La pielonefrite acuta richiede
una terapia antibiotica della durata di due settimane
da iniziare, generalmente in regime di ricovero ospedaliero.
In base alla gravità del quadro clinico si
valuterà se impiegare una terapia antibiotica
per via orale o parenterale.
In presenza di IVU recidivanti può essere utile
ricorrere ad una profilassi antibiotica, escludendo
che all'origine delle recidive non vi siano delle
alterazioni delle vie urinarie o altri fattori predisponenti
che possano essere corretti. L'efficacia della profilassi
dipende in gran parte dalla capacità degli
agenti antimicrobici di eliminare i batteri patogeni
dalla flora fecale e dal vestibolo vaginale, senza
generare resistenze batteriche. I farmaci più
utilizzati sono il Cotrimossazolo (240 mg/die), la
Nitrofurantoina (50-100 mg/die) e la Cefalessina (250
mg/die). Essi vanno somministrati alla sera, al momento
di coricarsi, per un periodo di tempo di 6-12 mesi.
La profilassi ha un'efficacia di circa il 95% nel
ridurre gli episodi infettivi. Un'altra possibilità,
altrettanto efficace, consiste nell'impiego di vaccini
pre-costituiti oppure di autovaccini, appositamente
preparati a partire dal ceppo batterico isolato nelle
urine del paziente. Risultati soddisfacenti si ottengono
anche con la somministrazione di fermenti lattici
che agiscono modificando la flora batterica intestinale
ed influenzando positivamente lo stato immunologico
locale o mediante l'impiego di succo o estratti di
mirtillo rosso ad alta titolazione di polifenoli che
inibiscono selettivamente l'adesione batterica. Nella
donna in menopausa la terapia sostitutiva estrogenica
migliora il trofismo vaginale, determina il ripristino
della flora lattobacillare contrastando le IVU recidivanti.
Per quanto concerne la batteriuria asintomatica il
trattamento antibiotico è opportuno solamente
in alcune circostanze quali infezione da Proteus (possibilità
di formazione di calcoli infetti), condizioni di immunodepressione,
pazienti diabetici o con trapianto renale o nell'imminenza
di un intervento chirurgico urologico, donne in gravidanza,
bambini con reflusso vescico-ureterale ed in presenza
di ostruzione del tratto urinario. In assenza di tali
condizioni la terapia antibiotica della batteriuria
asintomatica non offre vantaggi rispetto al trattamento
con placebo sia a causa delle reinfezioni nei pazienti
trattati che delle remissioni spontanee in quelli
non trattati mentre espone al rischio di reazioni
indesiderate e favorisce la selezione di germi resistenti.
La terapia delle IVU può anche richiedere manovre
invasive. Qualora sia presente un ascesso renale o
una pionefrosi può risultare indicato, unitamente
alla terapia antibiotica, un drenaggio percutaneo
della raccolta purulenta sia a scopo diagnostico che
terapeutico. La nefrectomia è indicata nei
casi di estesa compromissione del parenchima renale.
Per quanto concerne lo screening delle IVU non vi
sono evidenze sostanziali che esso risulti utile in
età pediatrica e negli anziani (il trattamento
delle infezioni asintomatiche non determina reali
benefici) mentre è dimostrata la sua convenienza
prima di interventi chirurgici urologici e durante
la gravidanza. In particolare si raccomanda l'esecuzione
dell'urocoltura fra la 12a e la 16 a settimana di
gestazione; nel caso in cui sia presente una batteriuria
occorre intraprendere una terapia antibiotica seguita
da un monitoraggio mensile con urocoltura.